venerdì 14 maggio 2010

Equilibristi #5



5. 



Lui era il mio Nord, il mio Sud,
 il mio Est ed ovest,
(W. H. Auden)







E se fosse? E se non fosse? 
Pensa così la bambina che è passata qui davanti correndo: è tardi. La campana a scuola sta per suonare. E il bar sta per riempirsi di genitori che hanno il tempo di chiacchierare, una volta concluso il giro tra asilo, elementari, medie. L'ingresso a scuola coincide con un momento di traffico impazzito, mamme frettolose, nervose, che scattano verso la giornate di lavoro: i papà, quando ci sono, sono più rilassati, specie quelli con belle macchine. Il suono della campanella attira la ciurma di studenti lentamente ma inesorabilmente, come lo scarico di un lavandino. Subito dopo le autovetture scivolano via, e il bar cambia atmosfera, tutto è più lento, e i genitori si godono quei minuti in cui tolgono la maschera familiare e si sentono liberi dallo sguardo dei figli. Ma la campanella ha anche il magico potere di riempire l'aria di ansia: i ritardatari si precipitano. Anche se si trattengono dal correre, dentro hanno l'inquietudine che prende al suono del telefono: è il segnale di un appuntamento. E questa bambina  sta correndo per non arrivare tardi, per non sentirsi addosso lo sguardo della bidella e le lamentele del prof. Perché arrivare tardi ad un appuntamento mette una strana inquietudine. 
Da pochi mesi tiene i capelli sciolti, questa bambina. Forse per questo non è più una bambina. E corre, portandosi dietro mucchi e mucchi di voglie, nuove, strane, incomprensibili. Corre perché da poco tempo la scuola è una cosa diversa. Esistono cose nuove. Il suo professore parla di cose strane, nonostante la noia della grammatica. Imparare comincia a diventare una cosa diversa dall'avere il quaderno con i compiti in ordine. Le cose stanno cambiando, e lei comincia ad accorgersi che questo suo ritardo, non è solo un ritardo rispetto al suono della campanella, non è solo una R sul registro: mentre corre verso scuola, sta pensando che sarà sempre così. La vita corre e non s'arresta un'ora, ha letto in classe. Dobbiamo cercare di essere felici, forse è per questo che il prof la legge. Forse è questo che continuamente cerca di spiegare. 
Ma correndo, pensa che correrà sempre. Non correrà per scappare, ma per raggiungere. 
Ci sarà sempre una campanella che suona. 
Come Capitan Uncino e il ticchettio degli orologi: ma non pensa più alle favole. Corre dietro i voti, che non sono come vorrebbe. Corre dietro il sentirsi dire brava. Corre dietro lo specchio in cui si vede diversa, perché diversamente si guarda. Corre dietro gli obblighi che comincia ad imparare, e dietro i desideri che cominciano a suonare come campanelle impazzite in ogni istante e ad ogni respiro. 
I capelli scivolano nell'aria. 
Il professore sta trascinandosi in classe: parlerà delle fiabe, oggi. Antropologia e psicologia e mal di testa. Perché gli piace cercare di convincere chi lo ascolta che la vita può essere una fiaba, con i suoi protagonisti e antagonisti, con inattesi oggetti magici, aiutanti inaspettati, insperati colpi di fortuna e improvvise catastrofi, perché è tutto qui, nell'avere una storia, nel trovare il modo di raccontarla, e raccontarla significa viverla, rispettando le regole e violandole, perché finalmente sono state davvero comprese.
Enrico comincia a pensare: abbiamo tutti paura. 
E tutti desideriamo la felicità. 
E diventare grandi significa accorgersi che è impossibile essere veramente all'altezza dei propri sogni, dei sogni che so di noi sono stati fatti. 
E mentre la campana suona, pigramente trascinandosi in classe, mentre gli studenti trasportano il loro rumore del corridoio, mentre gli ultimi ritardatari correndo arrivano al cancello, pensa: siamo persi in una nave di pirati. 
Esistono isole a cui abbiamo dato nome, andandocene; di quello che verrà sappiamo sempre molto poco. 

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...