sabato 6 novembre 2010

Ricordando l'ortica.


Sono naufragato nei tuoi occhi
mentre percorrevo una strada
stracolma di parole d'amore:
tu hai tirato sale nei miei occhi
scuotendo i tuoi come stupita
della tua intrepida pesca.

Oggi non sai più se torni od esca
da questo tuo liquido mondo sdrucciolo
dove m'annuvolo talvolta e scivolo.

Il tuo sale bruciava volteggiando via
dai tuoi capelli dalle punte dei tuoi seni
accecando i miei occhi che non sapevano
distinguere né porre confini.

E io ripenso oggi all'ortica, mia amica:
oggi che penso alla morte e alle torte
di mele, di sere andate buone per accendere
gli occhi - ma dei ricordi, di tanti ricordi,
mi accorgo che ho imparato a scordare tutto
che in fondo l'esperienze non esprimono più niente
o quasi, un riflesso opalescente di qualcosa
praticamente inconsistente -
proprio oggi, nel mezzo del cammina di nostra vita,
mia dolce infinita amica, ripenso all'ortica.
Avevo i calzoni corti, e jeans tagliati a forbice,
da vero maschio di un metro e mezzo,
e, di solito per recuperare un pallone, ma anche
per semplice imperizia o ingenuità,
nell'erba che sembra tutta uguale
- chi distingue più come certi vecchi,
questo si mangia, questo no: abbiamo ceduto
la saggezza per un barlume di libertà -
spuntava improvvisa ed imprevista
una feroce ortica.

E poi a farne mazzetti come fruste
per giocare a farci male, anche.

Ripenso al bruciore.
Prima sui polpacci. Verso le ginocchia.
E forse anche le mani, gli avanbracci.
Onde di prurito che diventa quasi dolore.

Così lo ricordo.
E tu che mi hai gettato sale negli occhi
quando sono emerso tra i miei sbuffi
d'annegato: ora sai il bacio dell'ortica
sulle cosce, lungo la tua schiena,
a sfiorarti il collo, le spalle,
brividi persistenti oltre il normale.

Eppure, quel corpo che, in un gioco
di veleno, si tingeva di rosso
aveva sangue per farne di cose.





Amare l'amore o d'amare more
il sapore? Equilibristi
in distanti momenti intimistici:
mistici nel corpo teso che esplode
nel rumore dell'ore, nell'ode
a questo strampalato amore.

Dov'è l'equilibrio?
Nella reciprocità in bilico
tra rispetto e libertà?
Nella fedeltà o nell'idea di quello che sarà?
E i folletti ci mettono un carico
da una parte e dall'altra della bilancia:
lentamente l'amore prende la rincorsa
e rapidamente poi si slancia.
D'altra parte lentamente la borsa
è aperta e il contenuto inevitabilmente
inventariato e contato.

La felicità è una cosa che si sconta
e si paga sul momento: non si fa credito.
Il debito diventa l'onta
patita: ma non esiste colpa:
non si tolgono alcune macchie dal vestito
senza alterare il tessuto.
Senza modificare irrimediabilmente il vissuto.
E aspettare domani, o dopodomani
per goder delle tue mani
vorrei dire: aspetterò sempre
su questa panchina.
E persin l'attesa mi sarà divina.