martedì 16 ottobre 2012

Primo sfogo autunnale.

Perchè io mi sono stancato.
Ho fronteggiato, in questi 6 anni di precariato, in ordine sparso: orfani sociopatici, ragazzine demotivate, lupi mannari, mostri immaginari, colleghi mummificati, riunioni sclerotizzate, presidi in crisi di mezza età, giovani in crisi adolescenziale, ho affrontato la neve, il caldo, la fotocopiatrice che non fotocopia, i libri inutili, le ore di alternativa alla religione che non ci sono, i filosofi mancati, gli studenti pignoli, i genitori assenti, e quelli presenti, le giornate della memoria, i minuti di silenzio, il frastuono della ricreazione, la filosofia spicciola, le risate e gli amori, le tette che spuntano, i baffi e gli esami, consigli di classe infiniti o frettolosi, le prese di posizione assurde, le liti da frustrazioni infinite. E io ne rido. Perchè giorno dopo giorno non c'è niente di meglio che vedere gli occhi di una persona che capisce qualche cosa. Credo sia uno dei piaceri della vita. E' come risolvere un gioco impegnativo. Insegno quel poco che so. Non sarà sempre abbastanza. Ma mi domando sempre più spesso se non sia necessario sedersi attorno a un tavolo e domandarci tutti, alunni, genitori, insegnanti e ministri: cazzo vogliamo farci della scuola? E gradirei, cazzo se lo gradirei, che per strada la gente, togliendosi il cappello, mi dicesse: grazie. Perchè è uno sporco e fottuto lavoro costellato di frustrazioni e lotte contro i mulini a vento della burocrazia, del pressapochismo, della piccineria più meschina, dei codici civili applicati con pura paranoia, il mondo in cui tutto è fatto e misurato in base alla misura "se muore un ragazzino" e poi i ragazzini moiono perchè crollano i soffitti, perchè dormono nelle case dello studente o semplicemente perchè vanno a scuola in una mattina sbagliata che scoppia una bomba. E perchè diavolo boia se qualcuno ha le palle per farlo, facendolo al meglio, e ce ne sono, e ho la fortuna di averne conosciuti, io, fossi un genitore, un gommista, un pornografo, un politico, in ogni caso gli direi grazie. Grazie perché ti affido mio figlio per un quarto della sua giornata, perchè ci passate più tempo di me, perchè il mondo sarà salvato dai ragazzini. Serve darci quattromila euro al mese per avere questo rispetto? Temo di si, in questo mondo che misura le cose col bilancino. Ma per un ateo come me, non è che ci sarà la ricompensa divina: e non è che se uno è disposto a fare le cose gratis, non meriti rispetto e considerazione. Anche le mie melanzane sono cresciute da sole: ma quando le ho mangiate insieme a chi amo, è stato un gesto pieno di significato e gratitudine.

mercoledì 23 maggio 2012

Maggio 2012: riflessioni e sensazioni.

Chi ha ucciso i comici spaventati guerrieri? E quale guerra combattono?
Sono giorni che ci penso. Anche oggi a scuola, il solito inutile minuto di silenzio, mentre avrei voluto gridare. Gridare: guardate che siete voi. Non so ancora chi siete, da quale parte sarete messi, ma siete voi. Vi riguarda. C'era una vecchia, vecchissima temo, (obsoleta sarebbe il termine giusto) canzone che diceva: per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti. Oggi non c'è stato verso di spostarvi via dalle vostre tv. E le tv vi trasformano in un film giallo. Odio i film gialli, odio le chiacchiere sul “chi è stato e perché?” Io non lo so. E vorrei ora parlarvi di Pasolini e del suo “Io so”, ripreso anche da Saviano. Ma sarebbe una lezione e io non ho voglia di fare lezione. Non è questo che mi interessa. Voglio che sia fatta giustizia, ma so anche che forse non sarà così semplice. Viviamo in un mondo ingiusto, dove di molte bombe ancora oggi non si sa chi sia stato, dove chi ha costruito case poi crollate con cemento e sabbia di mare penso stia ancora ridendo, dove la giustizia fa acqua da tutte le parti e c'è chi vince sempre, anche quando perde. E allora? Sono cinico spesso, ma non per questo non sento rabbia. Semplicemente vorrei portarvi fuori dai film e dai videogiochi. E qui non è garantito il lieto fine, gli eroi muoiono, e spesso muoiono invano, stupidamente, e spesso gli eroi successivi che vengono a scoprire perché sono morti gli eroi falliscono anche loro, o più semplicemente scarseggiano gli eroi. Meglio così. Proprio perché stiamo fuori dai film, qui gli eroi non ci servono: vi siete mai domandati quanto sia idiota Superman che corre di qui e di lì, superveloce, superforte, supersveglio, ma mai che si fermi a farsi la domanda: se la gente continua a cadere giù per le cascate, forse non è il caso di costruire un parapetto più alto, o di insegnare alla gente che non è saggio sporgersi giù da una cascata? Benissimo, ho appena detto qual è la differenza, secondo me, tra eroismo e politica. L'eroe arriva e aggiusta tutto. La gente applaude. La gente lo vota. Lui abbassa le tasse. La gente lo applaude. Penso a tutto io, tranquilli. E' un eroe, diamine. Poi comincia a dirti che siccome lui è l'eroe, lui ha ragione e tu no. E poi che è inutile tu faccia la fatica di pensare, tanto lui lo fa meglio. E poi brucia i libri o le persone, oppure ti dice: tu pensa ad andare al centro commerciale. Ma va beh, lasciamo perdere. Io diffido degli eroi. E diffido di chi si indigna, oggi. E' un po' come voi: quando vi guardo avete un atteggiamento, quando non vi guardo un altro. Oggi lo sguardo di Dio sono le telecamere: in diretta tv tutti ci tengono a far vedere quanto sono indignati, offesi, affranti, tristi e incazzati. Domani, ci saranno altri problemi a cui dedicare il proprio eroismo, e tutto resta come prima. Per questo preferirei che al minuto di silenzio seguisse il vostro pensiero. Un minuto di silenzio non è una esteriore e formale manifestazione di rispetto per la morte. Per quello ci sono le chiese, per chi ci crede, o i cimiteri. Facciamo un minuto di silenzio a scuola per darvi, per offrirvi, nel casino di vita che avete, un momento per voi. Soli con voi stessi. Sessanta secondi. Qualcuno tratterrà le risate, succede sempre. Ma è solo perché ha paura. Sono le stesse risate che fate prima di salire su una giostra particolarmente movimentate. E' l'anticipo dell'adrenalina o che so io, fatevelo spiegare da scienze. Perché stare sessanta secondi a tu per tu con voi stessi vi spaventa. E' normale. Per questo vi costringiamo a farlo. Ora io non sto dentro le vostre teste, magari avete pensato a quanto è bello quello della classe accanto, probabile. Normale. Ma vorrei che almeno nell'ultimo secondo aveste aggiunto: se è così bello, non vorrei che il mondo fosse migliore per me e per lui? Io non vorrei aspettare che Supermen venisse a costruirmi un mondo dove posso essere felice, preferirei cercare di costruirmelo attorno. E allora eccola la guerra. Da una parte abbiamo le bombe. I missili intelligenti. Più intelligenti di voi, purtroppo. Adoro Chaplin che è incapace di sparare un missile, nel film che abbiamo visto. Molti di voi avranno la stessa inoffensività, senza offesa. Ma ricordate come va avanti il film: perchè il povero barbiere ebreo si ribella alle SS? Lui non sa nulla di persecuzioni, soprusi né nient'altro. Lo fa perché deve farlo. E in questo “devo farlo” sta il segreto della dignità di cui parliamo – parlo – da qualche giorno. Da tante parti sentirete dire che questo è eroismo. Non credo. A meno di non voler considerare eroismo una mamma che dorme poco, corre molto, si agita di più, per star dietro ai suo marmocchi. O un padre che lavora un'ora in più per avere due soldi di più per i figli. O un professore che perde un po' del suo tempo per scrivere una lettera. O uno studente che legge una pagina in più perché è curioso. Nessuno di questi è un eroe. Meglio così. Sono idioti come molti. Sono comici spaventati guerrieri. Gente che sente che è in corso una lotta. Gente che confusamente si sente colpevole di quello che succede, ma non ha tempo né voglia di fermarsi per mettersi a piangere. Sono le persone che non possono piangere perché devono andare a salvare il salvabile. Persone che non compaiono in tv. Non entrano nei film. Persone noiose. Persone che fanno noiosamente il proprio dovere. Che si domandano spesso quale sia questo dovere. Ma che hanno la forza di rispondersi, e seguire la loro risposta. Persone che resistono, mi piace dire. Ma è già retorica anche questa. Persone che sanno da che parte stanno. Come e perchè? Non lo so. Ci si nasce? Forse. Ci si diventa? Forse. Io non vi dico di diventare così. Vi sto chiedendo però da mesi: domandatevi. Chi diavolo siete, voi? Perché dovrete scegliervi un posto nel mondo. E non è solo questione di disoccupazione. Dovrete scegliere quanto siete disposti a subire. Non sarete eroi, eppure ci sarà qualcosa che vi darà la forza di andare a pulire scale e ospedali di notte, per tirare avanti dignitosamente. Per sperare che i vostri figli possano avere qualcosa di diverso. Di migliore. Sarete comici, e quasi sempre vi tratteranno e vi sentirete stupidi. Inutili. Sconfitti. Sarete spaventati, perché davanti a voi ci saranno carri armati, bombe, la forza di migliaia di megafoni e voi avrete la vostra stupida voce. Il vostro sorriso però sarà quello del guerriero. Non sarete supersayan, mai. E il giorno che lo capirete dovrete scegliere. Cercherete in ogni modo di mettervi su una maschera da pirati invincibili, superduri, superfighi, invincibili, inafferrabili? Desidererete le scarpe giuste, i capelli giusti, vorrete vivere dentro i sogni giusti disegnati da altri? Dentro filmati montati da registi esperti dove il vostro sorriso e il vostro dolore saranno abilmente sottolineati dalla colonna sonora, dal primo piano, dal montaggio incrociato? Odierete le vostre rughe, le vostre mani rovinate? Vi sognerete ancora giovani e pieni di soldi, costi quel che costi? Sarete pronti a qualsiasi cosa purché qualcuno vi dica: sei un supersayan? Sarà una bugia. Ma troverete forse chi ve lo dirà, se lo pagate bene. Sceglierete di essere marziani? Quelli disposti a comprare tutti, visto che tutto è in vendita. Gente che è disposta a inquinare il pianeta, a consumarne altri due, se ne avessero, gente che seppellisce rifiuti tossici sotto i propri stessi paesi, che costruisce strade di sabbia su cui passeranno i loro stessi figli, marziani che non rispettano nulla e nessuno. Per loro tutto è veramente in vendita, visto che in qualche strano giorno di cui han perso il ricordo, hanno venduto se stessi. Non l'anima al diavolo: il corpo a qualcuno che paga bene. Sarete ricchi sognando giorno dopo giorno il sorriso che avevate da bambini? Sarete eroi con attorno pubblico in estati, pagato un tanto ad applauso? Certo, a furia di applausi, qualcuno ci cascherà davvero. Vi applaudirà. Ma non vi capirà mai. E voi, come marziani non abituati a questa atmosfera, vivrete dentro un casco di vetro, incapaci di respirare, di gustare l'odore del pane all'alba, appena sfornato. So che il paragone è impari. E penso che molti di voi diranno: posso comprarmi migliaia di panini appena sfornati. Potrei ordinare a qualcuno di sfornarmi il pane all'ora in cui mi alzo io. Ma allora non ci siamo capiti e mi spiace. L'essenziale è invisibile agli occhi. Questo ci rende guerrieri, oggi più che mai. Perché amo l'odore del pane che il fornaio ha sfornato all'alba: l'ha fatto, di notte, mentre io dormo, perché vuole guadagnare (certo, per l'abolizione del denaro ci sarà da lavorare, temo.) ma anche perché vuole che il suo pane sia buono. Perché attraverso il suo lavoro, per quanto stupido, per quanto umile, passa la sua dignità. Dignità è una parola complicata: facendo bene quel che devo fare, quel che ho scelto di fare, io sono uomo. Anche così non dice molto. Abolirei i voti, sapete? Vorrei provarci. Forse però siete ancora troppo piccoli e vi serve il mio: bravo, cattivo. Come vi sentite quando vi dico: bravo? Tra non molto non ci sarà nessuno a dirvelo. Dovrete farlo voi. Darvi un voto ogni giorno. Se sarete marziani, vi darete sempre un facile 10. E vivrete felici, non posso negarlo. Se vorrete vivere altrimenti, sarete più severi di me. La dignità è quella cosa che impedisce a un uomo di sputarsi in faccia al mattino quando si guarda allo specchio prima che il caffè lo riporti alle incombenze quotidiane. La dignità è quella cosa che vi fa rispettare più una bidella della preside. La dignità è il rispetto degli altri. Certo, vi mancheranno gli applausi. Ma quando scoprirete che non siete in grado di mandare un'onda energetica, quando capirete che anche se avete su il costume da supersayan non potrete esserlo, non per questo smetterete di comportarvi in modo tale. Diavolo, mi accorgo solo ora che sto parlando di Kung fu Panda. La pozione, ve lo ricordate? Così forse è più semplice: quando saprete che non siete gli eroi, che non avete poteri magici, che siete degli sfigati qualunque, che non c'è un pubblico attorno a voi, forse in un primo momento vi sentirete soli. Succede. Ma guardatevi attorno. Se non c'è un pubblico non vuol mica dire che siete soli, no? Anzi, un pubblico c'è: è quel qualcosa di tutti per cui state combattendo. E quando penserete: sono un povero sfigato qualunque, ho già perso, vi prego, guardate meglio. C'è qualcuno alla vostra destra e qualcuno alla vostra sinistra. Ci sarà uno che dice: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana.” Quello che ha detto queste parole è stato Giovanni Falcone, saltato in aria insieme all'autostrada. Venti anni fa. E io non voglio neppure dirvi: avete visto ieri quanta gente attorno ad un albero? Non voglio dirvi ancora: le vostre idee camminano sulle nostre gambe. Vorrei, dovrei ancora darvi mille e mille informazioni, diecimila spiegazioni e qualche milione di pagine da studiare. Ma lo farete da soli, domani. Io voglio dirvi, quanta gente vedere che vive così? Attorno a voi. Quanta gente non è disposta a scambiare una cosa apparentemente inutile come la propria dignità per soldi, successo, applausi, donne, pubblico? Quanta gente non è disposta a fermarsi al bar a dire: ho perso. Avete vinto. Tutto è compito. Non ci posso fare nulla. L'onda che mi viene incontro è troppo più forte di me. Inutile è persino combattere. Perché mi sono messo a scrivere? Per dirvi che la mafia fa schifo? Non è stato per questo. E' stato perché tornando in macchina, oggi, ho pensato e ripensato al fatto che continuamente avete cercato di tornare alla logica della televisione: chi ha messo la bomba e perché? E giù ipotesi, indiscrezioni, indizi e supposizioni, pettegolezzi. Pare che non viviamo di altro che di pettegolezzi. Tornando in macchina, pensavo a queste cose e mi è venuta in mente una cosa. Chi ha messo la bomba? Io l'ho messa, tutte le volte che dico: più di così non si poteva fare; non ho voglia di spiegare per la terza volte la rivoluzione russa; due giorni liberi in più, mica male; questa cosa non è importante; non abbiamo tempo; io. E l'ha messa chi è entrato due volte a scuola per saltare una settimana di lezioni. E l'ha messa chi critica dicendo: non c'è niente da fare, la scuola fa schifo. E l'ha messa il giornalista che mette il microfono sotto il naso di una persona che soffre. E l'hanno messa i vostri genitori quando vi dicono: silenzio, sto guardando la tv. E l'hanno messa i politici quando non sanno essere degni. E l'hanno messa i terroristi di ieri oggi e domani che invece di combattere vogliono solo vincere. E l'ha messa chi è invidioso della gioventù e vorrebbe cancellare le rughe, per cancellare la vita che gli c'è voluta per farsele. E l'ha messa chi lascia correre, per questa volta. E l'ha messa chi non vuole mai ascoltare ma solo parlare. E l'ha messa chi vuole tutti gli occhi su di sé. E l'avete messa voi tutte le volte che dite: non serve a niente; che palle studiare. Essere adulti significa fare i conti con tutti i propri limiti. Questo ho pensato. Non puoi salvarli tutti. Non puoi affrontare i problemi di tutti. Devi proprio piangere, a volte. Perché è vero che l'andazzo generale delle cose è più forte di te. Perché è così facile morire, anche. Perché siamo stanchi. Pigri. Annoiati. Ma non serve a nulla piangere un giorno. Piangere serve a soffiarsi il naso: tiri fuori un bel po' dello schifo che hai dentro. Ma poi respiri. Forte. A pieni polmoni. Sei vivo. Devi rimboccarti le maniche, e scegliere. Combattere per le tue scelte. Combattere per non far scegliere altri. Combattere per imparare in base a cosa fare le tue scelte. Per questo oggi vi chiamo miei comici spaventati guerrieri. Perché in qualche modo, oggi, per voi, questo significa studiare. Non potete farci nulla: siete coinvolti. Siete parte di questo mondo. Siate terresti. Non vi servono gli applausi né le lacrime del mondo. Non vi servono i sorrisi del mondo. Forse, vi basterà il sorriso di quel ragazzo tanto carino della classe accanto. E' l'amore, che lega tutte le cose. Siatene degni. In latino, sia detto tra parentesi, studeo significa: applicarsi a, attendere a, occuparsi di, aspirare a, desiderare, parteggiare per, sostenere, dedicarsi allo studio, studiare. Per me, riassume il tutto dire: aver passione per qualcosa, cioè: amare.

mercoledì 13 luglio 2011

Due imperi mancati, Aldo Palazzeschi

Senso di colpa poetico?
Questo libro può diventare allegoria del primo scacco matto patito dall’avanguardia; che poi ci sia voluto un ulteriore secolo, altro non sa a significare se non l’onta di questo mito di modernità che di sé conosce solo il sogno che ne fa, perché doveva essere chiaro – prometto per questo di leggermi “Esame di coscienza di un letterato” di Serra – che la modernità che il futurismo inaugurava se da un lato ci salvava dalla rottura di palle del fanciullino pascoliano dall’altro stava cominciando a cantare non soltanto la bellezza della morte (“una spacconata dannunziana!”) quanto direttamente ad attrezzarsi per cantare direttamente l’autoannientamento umano.
Palazzeschi scrive uno strano libro di guerra, in un momento in cui proliferavano gli scritti dei reduci (rimando, per questo, sul versante poetico a “Le notti chiare erano tutte un’alba” a cura di A.Cortellessa, Bruno Mondadori): nel suo libro infatti non compare mai, la guerra. Forse perché già avvertiva che l’esperienza iniziatica della guerra incubava il nascente fascismo? Non lo so, quel che mi importa, che mi piace di questo libro è che Palazzeschi, la cui lezione più valida resta senz’altro l’impegno del suo straniante disimpegno e il disimpegno del suo ludico impegno, giunge a porsi la domanda profetica che sarà poi di Brecht: “perché i vostri poeti hanno taciuto?” E nel momento in cui si pone questa domanda la vibrazione dadaista di Palazzeschi esce allo scoperto: qui non si tratta di baloccarsi con gusti letterari/estetici ma di posizioni, di scegliere dove sedersi, come avveniva nel senato romano, ossia di rendere manifesta una politica, un’intenzione, un’ideologia.
Mai tanto chiaro quanto nel XX secolo che scegliersi un linguaggio significa inevitabilmente acquistarsi un’ideologia; e che crearne, di linguaggio, significa – è questa l’aspirazione di tutta l’arte sperimentale – creare una nuova politica.
Cosa c’è di Dada in Palazzeschi? La pretesa di innocenza: d’innocenza la protesta.
Non serve qui elencare la mitologia di quest’innocenza marginale, spaesata, idiota persino, asociale spesso e incendiaria (pirotecnicamente parlando spesso). Quest’innocenza è cercata nei fonemi sgangherati, nell’alterità della massa (ma infine non viene ad esistere una fin troppo corposa massa di estranei alla massa, o forse la massa stessa ormai non è composta di queste estranee solitudini?), ma soprattutto, in breve, nell’emblema stesso di ogni avanguardia centrato in pieno da Marinetti quando scrive: bisogna avere il coraggio di fare il brutto in arte.
Pensiamoci un po’.
Penso di poter dire che fino alla modernità un’arte brutta semplicemente non era arte: c’erano criteri tecnici per giudicare sull’artisticità. E qui si apre semmai il problema dell’evoluzione delle forme/tecniche espressive, del progressi “esplosivi” di cui parla Lotman, dei rapporti tra questi e la storia(economia/società). Ma nella modernità, ovunque poi inizi, questo giudizio non è più così pacifico. Da un lato viene emergendo un’urgenza di realismo che, a mio parere, discende dalla prime scalfitture del ruolo dell’artista considerato come produttore, e questo realismo lentamente apre le porte (e le finestre) all’idea di una bella (tecnicamente) raffigurazione del brutto (la realtà comincia a diventare semplicemente brutta, nella modernità!). [Per ulteriori ricerche forse bisognerebbe orientarsi sul barocco.]
Il limite di questa linea resta la massima (ora non ricordo chi lo scrisse, forse Gadda o Benjamin?): la descrizione del disordine non può essere una descrizione disordinata. Ma al di qua di questo limite esistono molte trasgressioni possibili, e bene o male l’avanguardia storica le prova tutte.
Dapprima quel che è brutto è recuperabile come innovazione tecnica: dall’impressionismo al surrealismo, passando per il futurismo, questo sarà il limite invalicabile: qualsiasi sia l’esperimento, il presupposto dell’arte quale campo d’esperienza privilegiata e veicolo di comunicazione “iniziatica” non verrà mai scalfito. Lo sparo a caso sulla folla resta nel libroed è così che tra le forme dell’arte arriva ad essere incluso anche l’omicidio (ma letterario, appunto, che altrimenti resta ben limitato nel campo del codice penale). L’autonomia dell’estetico diventa una prigione di gomma o anzi, per sociologi in erba, un nuovo paradigma (ah, così Vendola è contento!) della sorveglianza degli equilibri sociali.
Bene, credo di aver esagerato, e chissà se mai riuscirò a chiudere queste considerazioni in un testo chiaro ed ordinato. Ma almeno credo di aver dato un’idea, così come una riga di polvere sulle mensole significa tanto quanto i titoli che lì sono deposti. Torniamo al nostro Palazzeschi: l’innocenza passa per il brutto. Questo fu l’equivoco. Perché di altro non si trattava che dell’ennesimo aggiornamento tecnico entri i limiti strutturali (nel senso che si agiva trasformando la combinatoria degli elementi, degli oggetti, dei repertori, dei registri) e sovrastrutturali (precisamente perché all’interno di quei limiti restò tutta la faccenda). Ma la necessità di questo aggiornamento era poi assai strutturalmente determinato dal pieno sviluppo di un determinato modo di produzione e dalla tecnica connessa e dai nuovi prodotti in egual misura tecnici e commerciali.
Il tentativo dell’avanguardia – e non solo dell’avanguardia – non sa risvegliare un mondo immerso, come una bella addormentata, in una intorpidita ebbrezza ipnotica ed estetica, perché il futuro dell’innovazione tecnica futurista è perfettamente omologo allo sviluppo tecnico industriale, e l’ironia, che resta pur sempre la carta migliore che fu possibile giocare, scontò, e proprio attorno a questo libro, il suo limite pratico.
L’ironia auspicava infatti un contagio del disincanto nelle nascenti masse etero dirette e probabilmente, invece, disincantò le masse solo per apprestare le nuove auree tecnologiche. La forma d’arte che verrà di lì a poco sarà definitivamente racchiusa nei circuiti commerciali trasformandosi in pubblicità.
E forse tutto questo è già chiaro in questo libro impubblicabile di Palazzeschi: la sua ironia diventa gridata, manifestando tutto il disagio di chi parla a chi non vuol capire; la tecnica su cui tante speranze e sogni si basavano si rivela infine nelle nuove tecniche di annientamento dell’umano sviluppate e collaudate durante il primo conflitto mondiale.
La carneficina della prima guerra mondiale rivela già lo scacco di tutta una cultura, un’ideologia, un mondo. E mentre quella guerra finisce, anticipando in questo la seconda metà del XX secolo, con l’ingresso degli USA nel grande affare bellico e con una rivoluzione di popolo in nome dell’unica ideologia che, per quanto impossibile, ha retto per almeno due secoli – sto parlando del comunismo -, un poeta, che cerca quasi ingenuamente di sfogare il proprio storico disincanto, si trova costretto ad armeggiare con faccende quali il concetto di nazione, di famiglia, di borghesia e di guadagno. E nello stesso tempo, dopo tanto disincanto, si trova costretto a postulare, in modo quanto mai scettico ma ugualmente praticamente urgente, un incanto legato alla specificità del linguaggio poetico. Ma una specificità tutta nuova, penso.
Perché i poeti hanno taciuto?
Rispondere perché non erano poeti lascia comunque irrisolta la domanda: chi sono io, saltimbanco dell’anima mia?
E quest’”anima” – teniamo la parola nonostante le sue molteplici compromissioni, grida precisamente come ciò che lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, e del suo mondo conseguentemente borghese, ha cancellato.
Oggi sono stato confuso e prolisso: per sperare nel perdono vi chiedo di leggere questo libro tenedo in considerazione questa avvertenza: (trattasi di Marx)
«La lotta di classe [...] è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non si danno cose fini e spirituali. Queste ultime, però, sono presenti nella lotta di classe altrimenti dall'idea di una preda che tocca al vincitore. In questa lotta esse sono vive come fiducia, coraggio, gaiezza, astuzia, perseveranza [...]»


Vi ricompenso con qualche citazione altrettanto prolissa, ricordando che il critico è sempre uno che lavora prima di tutto di forbici.

“Ma io mi sento una molecola di questo globo e al tempo stesso imperatore di esso come Guglielmo II non ha potuto nemmeno mai sognare. Non c’è buco sopra la terra che non sia il mio paese, io posso se mai avere una speciale tenerezza per la poca terra che circondò la mia culla, ma che questo non diventi una mania, che non appanni per un istante solo la lucentezza della mia anima universale. […] Io sono di tutti i paesi e tutti i paesi sono miei, se vi ho detto che sono imperatore di tutto il mondo come mi posso sentire suddito di un pezzettino di esso? Io non sono nemmeno un uomo, non ci tengo ad esserlo, io sono una creatura sensuale, un palpito libero dell’aria.”

“C’era una persona dalla quale questa guerra doveva venire condannata e respinta: l’artista, e su tutti il poeta.
Una guerra senza idea, la cui anima folle e perversa serviva bestialmente il più laido e vile affarismo, l’interesse individuale più cinico, come poteva essere accettata da lui, anima errabonda, naufraga nelle sudice acque della società che di lui si disinteressa o falsamente se ne interessa, e alla quale solo pochi altri naufraghi si aggrappano ardentemente, ma che una fiamma interna illumina e nutrisce e rende più felice e orgoglioso di qualunque miliardario? Questa superba creatura che ha un cervello e un cuore ancora miracolosamente puri ed umani doveva ritirarsi livida, offesa, contrtta nel suo rifugio, e difendere strenuamente il proprio tesoro immortale e incorruttibile. […] No, amici, non si può essere così acrobati per fare senza pericoli certi salti mortali. Dalle cime del sentimento e dell’intelligenza non si va a sedere comodamente sulle morbide colline dell’imbecillità, o della malvagità incosciente e volgare, se si cade si rotola fino in fondo, nella fossa profonda del dolore. […] Questa guerra in quasi tutti i paesi fu patrocinata, appoggiata, sostenuta proprio da questa razza di gente.”

“Non appena arrivato fuori dalla stazione vidi sventolare bandiere di ogni colore e dimensione, era una bella giornata di metà Novembre, domanda e mi dissero di non so quale festa degli Stati Uniti d’America, un brivido freddo serpeggiava nelle mie ossa come avessi fatto l’ingresso in una festa macabra. Il giorno dopo doveva essere un’altra importante ricorrenza perché le solite bandiere sventolavano, domandai, e mi fu risposto che no, ma si attendeva non mi ricordo che Re. Eppoi ambasciate, messaggi, ministri in arrivo e in partenza. I giapponesi, gli inglesi, gli arabi, gli scozzesi, musiche di ogni razza e colore, balli e trattenimenti a beneficio e in onore dei ciechi, dei monchi e degli zoppi, ufficiali inglesi e francesi, gli ultimi avanzi dell’esercito serbo, i ristoranti, le osterie ne erano zeppi, si mangiava, si cantava e si beveva del buon Frascati. Vi erano ricoverate profughe le più scintillanti dame di Venezia, di Padova, di Verona e Vicenza, i veri profughi erano stati mandati nei castelli, niente ospedali, niente prigionieri, e niente disertori. Pareva che il dolore fosse stato vinto.
Domandai ancora, che seccante non è vero?, per potermi iniziare nel mistero e mi fu risposto che così e non altrimenti doveva essere, che quello era il centro della resistenza. Pure sembrandomi che a quel modo fosse assai facile resistere, non replicai.
Roma era la grande fucina della guerra, il cuore del mostro, e la si era presa dal suo lato buono, la ciclopica industria vi faceva correre rivi di denaro, e parevi leggere sulle facce di tutti: la guerra è bella. Basta non la fare. […] Avresti detto che si festeggiasse ogni giorno anticipatamente la vittoria, e si prendessero acconti su quella gioia che doveva venire. Che la vittoria non c’era stata te ne accorgevi solamente perché tutte quelle feste finivano con un unico grido: viva la guerra! Viva la guerra!”

“Avete saputo inventare tanti ordigni, e solidi e liquidi e gas, per distruggerla, questa umanità, nella maniera più assurda e infame, quando non ne avevate nessun diritto e nessuna giustificazione, trovatene per non farla nascere. Voi chiamate i vostri figlioli a venti anni, quando ogni giorno è stato una promessa, dopo avergli lasciato intravedere la bellezza del cielo e del sole, sentire l’ignota attrazione dell’infinito, e gliela soffocate in gola, a quei poveri bamboccioni, la vita che gli avete dato, con un fiotto di sangue, nella più terribile agonia.”

“Il capitalismo _ E’ lo scoglio sul quale tutte le vostre onde s’infrangono. […] E’ al cuore che dovete trafiggere il mostro. Finché i padri lavoreranno coi figli come vi disferete di questo frutto? E’ troppo giusto e troppo naturale. Ma quando io sarò principio e fine a me stesso, quando con me cadranno e casa e nome, che ragione avrò più di accumulare ricchezze? Non ragione, né dovere, né diritto. Io sono responsabile di me. Se lascerò un sacchetto d’oro che per il mio buon lavoro, o la mia saggia economia mi sia avanzato, nulla di male, esso apparterrà non ad un vivo, ma a tutti i vivi della terra, alla vita ch’io lascio.”

“Sarà dottore chi mostrerà di poterlo essere degnamente, non chi avrà denari da sciupare in una qualsiasi università, e insegneremo la bellezza di tutti i mestieri, di tutti i lavori, e specialmente di tutti quelli più vicini alla grande madre nostra terra.”

“Vi diranno con voce da angelo che fan la guerra per la pace e ognuna sarà l’ultima. E sarà guerra su guerra e sempre guerra, tutta la loro vita sarà una catena infinita di guerre. […] Si è travestito il mostro. Non più porpora, non corona sulla testa e scettro nella mano. Veste come tutti voi. Il nuovo trono è una cassaforte grigia, lì è tutto il suo cuore, e il suo Dio. Lo abbiamo riconosciuto e lo denunziamo, sappiate tenerlo d’occhio.”

“Tutto quello che c’è di deleterio in Italia è del D’Annunzio. Raccoglie egli la fiaccola lasciata a terra da quella vecchia chitarra del Carducci, che a sua volta la raccolse da quell’altro trombone sfiancato dell’Alfieri. E’ un posto che non può rimanere vacante, a costo di prostituire il meglio di sé e far galleggiare nel sudiciume, la tentazione è grande, uno ci andrà. […]
La guerra d’Italia come fu fatta altro non è che una spacconata d’Annunziana senza senso, senza abilità senza profitto. E ve l’ha guarnita per tutti i suoi giorni, infiorata, incoccar data, di inni, odi e canzoni, orazioni, invocazioni, imprecazioni, inaugurazioni, commemorazioni e avventure d’ogni specie: sulla terra e per l’aria sotto e sopra l’acqua, come si fosse trattato di una grande partita ginnica, un torneo nel quale tutta la gioia dei muscoli e dei polmoni dovessero avere a pieno il loro sfogo. […] Vedevano ancora, tali uomini, i popoli come le plebi di migliaia di anni fa, e vivono nell’ebbrezza di risuscitare Leonidi, e guerre puniche, centauri, aquile romane, ali di vittorie, rottami di grandezze estinte […].
Quelli di essi che si credono all’avanguardia si spingono a cantare la gigantesca bellezza del cannone o la genialità bizzarra della mitragliatrice, gonfi di ebbrezza per la strada compiuta dal vecchio randello di Caino.
Raspategli bene addosso, e sapete che ci troverete in fondo? Un ufficiale di cavalleria. Creature viventi fuori della realtà e della vita, creatori del vuoto. […] La realtà non esiste e non li tocca, sono fuori di essa. E cantano e cantano. […] Inconsciamente divengono pericolosi strumenti che abili mani calcolatrici sanno bene sfruttare e manovrare.

“I cattivi governanti alla fine del loro gioco si ritirano in nostalgiche ville piene di raccoglimento e poesia.
I popoli dovranno sciacquare nel sangue i cenci sporchi della loro insipienza e malvagità.
La guerra non si fa.
La guerra non si deve fare per nessuna ragione al mondo.”