sabato 10 aprile 2010

Stroncare Pasolini.











Non male per inaugurare una rubrica di recensioni.
Che dire a mia discolpa?
1) Non è una colpa. (e ci torneremo!)
2) Per inaugurare qualcosa è doveroso dimostrare energia e coraggio. La vita è un addestramento a tacere, e quando hai qualcosa da dire tocca trovare il modo di dirla, cosa non facile. Ovvio, si può rischiare la sprovvedutezza. Ma è così che la gioventù affronta una salita: passi lunghi e voglia di chiacchierare; ci sarà tempo per invecchiare prima della pianura.
3) Pasolini è un "classico" (a volte addirittura un martire): se aveva qualcosa da dire, ha smesso di dirla. Parafrasando Salinger: mi piace l'idea di telefonare ad un autore, quando chiudo un libro, per mettermici a litigare.




Oggi come oggi con PPP non è possibile litigare.
Mi sembra soprattutto a causa del fatto che mala tempora currunt, e siamo ridotti a tenerci stretti Bocca e Augias, e rischiamo di venerare Saviano e Travaglio; insomma, il normale, chi fa onestamente il proprio mestiere (un normale giornalista, o scrittore, o intellettuale, qualunque cosa oggi voglia dire questa parola), chi usa un minino di buon senso e ha una memoria che funziona, diventano una specie di oasi. Ora, sarete d'accordo con me: non si piscia mica volentieri nella propria oasi.
In questo senso oggi PPP è diventato un classico: un luogo comune.
In questi articoli, raccolti in questo "Scritti corsari" (bella la nuova edizione tascabile della Garzanti, esteticamente semplice ed elegante), potrete riconoscere, come nel parchetto sotto casa, la panchina e quel lampione a cui tutti i cani pisciano sempre, ovvero: l'ira e lo sdegno per un presente devastato e lo sguardo al mondo perduto.
TV e cultura popolate, riassumendo a modi tag.
Ma un luogo comune, se è un punto d'incontro - curiosamente chi si incontra oggi in questo metaforico "Parco Pasolini" non lo si incontra più all'idroscalo, nei tanti moltiplicati idroscali che ci circondano - è anche un luogo a cui non si presta più attenzione: ci si sta a proprio agio, come oggi qualsiasi italiano è in grado di fare con la propria indignazione.
Allora, il primo consiglio di lettura è: guardatevi bene attorno mentre attraversate questo libro che articolo dopo articolo snoda un unico discorso.

Questo è un libro che potete, come ogni classico, far finta di leggere: vuoi per rinsaldare le vostre battute ad effetto buone per rianimare la conversazione di certi salotti, vuoi per trovare definitiva e autorevole conferma al vostro "ormai tutto è perduto"; ma finireste solo per cibare il reazionario che è in voi.
Tentazione pericolosa oggi che il presente lascia pochi motivi per sperare.

Ma allora?
Allora provate a leggere sul serio questi articoli. Ascoltateli.
Vi tufferete in un'Italia d'altri tempi, leggerete di aborto e divorzio, di Pannella e dei suoi scioperi della fame, e ad insaporire la lettura potrà arrivarvi addosso la sconsolante sensazione che da 50 anni ci arrabattiamo negli stessi problemi. Leggerete che la TV è la chiave di un potere nuovo che P. non esita a chiamare "fascismo" invocando un nuovo antifascismo, che superi il comodo antifascismo di facciata dei partiti di governo.
Leggerete che la cultura che ha tenuto per secoli in piedi i localismi del nostro bel paese è stata spazzata dai sogni eterodiretti (e insoddisfacibili) del capitalismo.

Ma una volta letto questo, abbiate un po' di rispetto per questo frocio comunista, cristiano egocentrico esteta, per di più morto in circostanze misteriose e in aria di martirio.

Incazzatevi.
Non con il sistema, la TV, il potere, il fascismo.
Incazzatevi prima di tutto con Pasolini.

Un moralista si deve trovare un luogo distante per criticare il suo mondo: da qui vengono tutti i migliori comici, come tutti sanno.
PPP decide di prendersi sul serio: allora ci tocca prenderlo sul serio.

L'analisi implicita in questo libro, che tocca al lettore montare (ma per carità, niente avanguardia: il foglietto delle istruzioni, per quanto implicito, è ben chiaro!) è reazionaria: si stava meglio quando si stava peggio.
O meglio: è tutta una discussione su cosa possano significare quel "meglio" e quel "peggio".

Per questo ogni parola di questo libro, lungi dall'essere un versetto del vangelo, è uno schiaffo, una provocazione, l'avvio di un dibattito. Meglio: di una lite.

L'angelo della storia vede il passato come un accumulo di rovine: ma è verso il futuro che viene trascinato.
Leggete questo libro "dal futuro": l'istante presente è pur sempre l'unico momento in cui è possibile agire.

Ma allora: rimpiangere il sottoproletariato? No, grazie.
Se volete sperimentare sapori forti, provate ad accompagnarlo con un Marx che trascura il lumpenproletariat e riflettete sul fatto che il comunista Pasolini non tiene in considerazione il fatto che è lo sviluppo della borghesia che genera il proletariato e che il proletariato, appunto, sarà rivoluzionario non tanto per la cultura di cui è portatore, quando per la non-cultura di cui è vittima, della tabula rasa esistenziale che sperimenta all'interno di determinati rapporti di produzione.
Non ha da perdere che le sue catene, se ricordate.

O se preferite accostamenti più delicati, leggeteci accanto Latouche e tutto il discorso sulla "decrescita felice": è questa "arcaica" felicità ciò di cui parla Pasolini, felicità antropologica prima ancora che sociologica e che oggi è cancellata dai nostri bilanci esistenziali.
Ma una macchina per soldi non si ferma con i buoni propositi.

Pasolini non ci ha capito niente. Questa è la stroncatura. Non è una colpa scriverlo.
Non è una colpa perché leggerlo oggi significa cercare di portare avanti un dibattito, per capire di nuovo, per capire meglio: perché discutere significa anche imparare, incazzandosi talvolta, a guardare al nostro mondo come una preistoria.

Non dimenticate:

In me si combattono

L'entusiasmo per il melo in fiore

E il terrore per i discorsi dell'imbianchino.

Ma solo il secondo
mi spinge alla scrivania. (B.Brecht)



1 commento:

"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...