sabato 17 aprile 2010

Equilibristi #2

(per leggere il cap precedente clicca qui)
1.



I solitari leggono molto, ma parlano poco e poco sentono dire: la vita per loro è misteriosa. Sono mistici e spesso vedono il diavolo dove non è.
(A. Cechov)


“Cosa posso prendere adesso?
”
“un taxi!”
“va bene, allora fammi un taxi, ma con poco ghiaccio.”
(in un bar)




Un giorno il professore entrò nel bar: aveva un'aria piuttosto sciupata. Dagli occhi sembrava uscire un'aria pestilenziale, nel cervello i cavalieri dell'apocalisse dovevano martellargli direttamente le meningi e inutilmente i muscoli del viso cercavano di mantenere la pelle del viso tesa in una maschera rispettabile. Sembrava un criceto smarrito: lanciava occhiate di qua e di là, dalla zuccheriera alla barista, dal pavimento ai lampadari, di nuovo la barista, cercando il gesto complice, biascicando finalmente "...il solito...", tornando ad ammirare le bustine di zucchero, misurando le distanze da percorrere con le mani, contemplando soddisfatto la posizione dei suoi piedi, quando, posato il gomito sul bancone, finalmente può godere di una posizione relativamente stabile.
Enrico, è il suo nome.
Succede in certe strane mattinate che il mondo perda la sua solita consistenza: allora le molecole sembrano allentare i loro lacci, gli atomi schizzare impazziti, le scarpe ora incollarsi al pavimento, ora galleggiare senza attrito, la visione dimostra che la diffusione delle onde, i movimenti di quelle invisibili, innominabili particelle, sono diventati sghembi: gli occhi fissano un cielo che, stabile da millenni, improvvisamente ha accelerato e si muove ora avanti, ora indietro, e sembra fermarsi ma solo per scattare ancora indietro e poi rovesciarsi avanti, roteando e martellando una coscienza che sembra dover imparare tutto di nuovo.
Se qualcuno, come me, se ne accorge, probabilmente apprezza i suoi sforzi: è come un bimbo che impara a gattonare. Ma è anche quel che resta di un diavolo sconfitto che ora paga le sue pene: quell'aria contraddistingue chi precipita da grandi altezze, e chi ha tentato inutilmente di alzarsi in volo, nella ressa di un locale pieno di studenti, o sul tappeto diagonale dell'hascish ha sognato di avvolgersi negli arabeschi che fa la luce dei lampioni infiltrandosi in casa e mescolandosi con quelle delle stelle più decadenti. Ieri quel mondo liquido tutto avvolgeva, ed era un brodo che protegge, una danza tra membrane plastiche che si infrangono silenziosamente.
Bene, ho tempo da perdere, anche oggi. Spero ne abbiate anche voi.
Viviamo in un mondo dove non si gioca mai: la comunicazione è diretta o, quand'è indiretta, è sempre fin troppo esplicitamente seducente. Dobbiamo avere sempre bisogno di qualcosa, e quando non possiamo permetterci più niente, scopriamo non avere dei veri desideri. E così non sto vendendo niente, e per me il mondo è sempre composto di volumi fluidi che si intersecano.
E questa mattina il prof paga i postumi di una bella e sonora sbornia.
Ma è proprio questa mattina che qualcosa deve accadere: come faccio a saperlo, vi chiederete?
Perché sono il diavolo, ovvio. O perché sono io che sto raccontando questa storia.
Quindi, ricominciamo: ogni mattina quasi tutte le persone che conoscete entrano in un bar.

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...