mercoledì 21 aprile 2010

Jean Giono "L'uomo che piantava alberi"






J. Giono, "L'uomo che piantava gli alberi" 

Breve apologo - si legge in meno di un'oretta, tutto d'un fiato, anzi, leggetelo così, ad alta voce, ai vostri figli, agli studenti, ad ogni ragazzino che vi capiti a tiro - ma capace di farvi spalancare gli occhi.
Qualche informazione tecnica: l'apologo si basa su due momenti distanti tra loro molti anni: il primo ci presenta un personaggio e il suo mistero, il secondo lo risolve definitivamente. Una tecnica semplicissima per dare al racconto il tono di un'autentica epica moderna, un po' come se l'intera Odissea venisse riassunta nell'ultimo saluto di Ulisse a Penelope e, di colpo, nel suo finale disvelamento. 

Provate a prendere due fotografia (la modernità è infatti intrinsecamente fotografica) della stessa persona in due momenti diversi e distanti: quello che collega le tue foto è una vita, insomma. Raccontare questi intervalli è stata l'aspirazione del romanzo dell'800, nel '900 ci si è compiaciuti dei collage e dei frammenti, e il nostro nuovo millennio rischia di essere quello dei montaggi di "Amici" o "Il grande fratello": spezzoni scelti e abilmente montati a simulare l'unità di un'esperienza, a mimare il senso di un vissuto. (I quindici minuti di celebrità si convertono nelle vite brevi di uomini non illustri, con conseguenze tutte ancora da decifrare).
Giono invece gioca diversamente: nei due incontri è il narratore che cambia, vivendo la storia, la guerra mondiale, mentre il vero protagonista, l'uomo che piantava gli alberi, resta tale e quale. Certo, era vecchio al primo incontro, sarà più vecchio al secondo: gli anni sono passati, eppure è sostanzialmente lo stesso, come vivesse in quel tempo ciclico, in quella antropologica cultura legata alla natura della cui scomparsa tanto si dolse Pasolini.
Tutto lascia pensare che durante l'intervallo il vecchio abbia semplicemente ripetuto gli stessi gesti, gesti misteriosi soltanto agli occhi di chi non sa guardare dalla giusta distanza ed è schiavo di una logica di causa-effetto accelerata ed ossessiva. Non guardate ai personaggi: sono semplici, come conviene ad una favola, e qui il miracolo è proprio quello di trovare il respiro di un'epica moderna capace di fare a meno degli uomini, lo sguardo proprio di un mondo in cui l'uomo ha smesso di avere poi troppa importanza: epoca industriale di grandi numeri, che si tratti di merce venduta o di uomini massacrati.
Quest'apologo non cerca l'individuo: lo sguardo trova modificato ben di più. 
Quello che cambia, ed il cambiamento è alla base di ogni narrazione, è il paesaggio: dove prima era una specie di deserto compare come per magia una foresta. E la magia di questa fiaba non è affare da apprendisti stregoni: l'autore ce ne rende partecipi molto semplicemente: un uomo passa degli anni a piantare alberi. Tutto qui.
Eppure è il gesto quotidiano di quest'uomo dimenticato dalla storia che ricrea un paesaggio e con esso un territorio, e su questo territorio, possiamo sperarlo, altri uomini, uomini nuovi, potranno seminare una nuova cultura.
Non serve alcun rimpianto: e piantiamola con la retorica dell'eroismo.
"Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole"
Forse allora è sempre il momento giusto per smettere di analizzare stessi e il mondo e cominciare a fare qualcosa per cambiarlo: qualunque cosa sia, un altro mondo è possibile.

1 commento:

  1. questo libro che lei ha fatto la recensione, qui su questo suo blog, e stupendo, mi ricordo il giorno, quel giorno che c'è l'aveva letto in classe (come ha scritto all'inizio della recensione) in un oretta, tutta d'un fiato e lei lo ha letto davanti di noi, noi studenti. Le riflessioni che lei ha fatto mettendo in confronto la realtà con il libro, purtroppo, reali, ma sono giuste è fatte bene, mi hanno colpito. Prof, solo per dire, lei invece di fare il prof, e da come o potuto capire purè precario, dovrebbe fare o lo scrittore o qualche altro lavoro in quell'ambito lì. COME SEMPE QUELLO CHE FA é FATTO BENE, CONTINUI COSì!
    Simincia@

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...