venerdì 2 luglio 2010

La guerra di Giovanni, Edoardo Pittalis

Proprio in questi giorni mi è capitato di sentir parlare di "tre verità": quella giuridica, quella politica, quella storica.
Mi sembra una cosa illuminante: e quanto prima mi piacerebbe parlarne a scuola.
I giudici assolvono o condannano basandosi sulle prove, ovvero sulla possibilità che un fatto trovi o meno riscontri oggettivi: su questa verità pesa poi il fatto che si occupa esclusivamente di stabilire la verità riguardo eventi che si configurano come reati.
La verità politica, decisamente meno oggettiva, riguarda appunto l'interpretazione dei fatti in senso più ampio, comprendendo anche tutte le dinamiche che possono restare al margine di un reato.
Gli storici, infine, a partire da questi due ordini di documenti -possibilmente considerando proprio il fatto che questi ordini di documenti sono viziati e o condizionati dalla loro natura - dovrebbero restituire, da una prospettiva più pacata,un'immagine della verità di quel che è stato.
Ora non ho intenzione di perdermi nel discorso secondo il quale ogni verità storica è una narrazione, pertanto impalpabile. Per quanto mi riguarda risolvo, e ho sempre risolto, la questione pensando che la verità è un fatto su cui si discute.
Ma non è questo che mi interessa: mi interessa riflettere sul fatto che la verità diventa, può diventare e forse deve diventare una verità narrata.
E allora manca, nell'elenco da cui ho cominciato, una possibile verità (o menzogna): quella giornalistica. 
Cosa sarebbero infatti i giornali se non uno strumento per trasmettere la verità?
Anche qui, sarà il fresco della notte di quest'estate romana, verrebbe la tentazione di parlare della "legge bavaglio" e di cosa siano diventati i giornali, ma mi trattengo. Ognuno immagino si sarà già fatta la sua idea.
Voglio però segnalare un libro che probabilmente non avrà avuto un'enorme diffusione (e segnalandolo qui mi rivolgo al pubblico dei miei quattro lettori... a differenza di Manzoni, io sono serio): "La guerra di Giovanni: l'Italia al fronte: 1915-1918" edito da Biblioteca dell'Immagine nel 2006.
La splendida presentazione di ENzo Biagi ci spiega immediatamente che il Giovanni del titolo lo troveremo solo nel primo e nell'ultimo capitolo.
Perfetto: un libro dove il protagonista scompare dalla prima all'ultima pagina. In effetti non è un romanzo. Ma non è neppure un libro di storia.
Di che si tratta? 
Uno va a vedere la quarta di copertina e scopre che l'autore è un giornalista: poi, a scanso di equivoci, va pure a ritrovarselo su facebook.
Tutto chiaro allora: si tratta di un'opera giornalistica. Perfetto: c'è una difficoltà però. Il giornalismo, almeno quello serio, non dovrebbe basarsi sui fatti visti con i propri occhi? Non è su questo che si basa l'attendibilità di un giornalista? 
La difficoltà qui è di scrivere da giornalista su argomenti di cent'anni fa. 
E il merito del libro è quello di risolvere brillantemente la difficoltà: come?
Trasportandorci in guerra. 
Non tanto attraverso le parole dei soliti scrittori che quella guerra l'hanno fatta (usandoli come reportage), né appigliandosi ai documenti giuridici o politici dell'epoca, né immergendosi nella storiografia. L'impressione che mi ha fatto leggere questo libro è come quella di sfogliare vecchi giornali d'epoca. Verità giornalistiche, appunto, che comprendono, l'uno accanto all'altro, eventi storici e parole dell'ultimo fante, annunci matrimoniali e liste della spesa, rincari e ideologia, frasi storiche e botte di culo, canzoni e dialetti, bollettini dal fronte e Mata Hari, l'ultima canzone alla moda e partite di calcio.
Le cifre ci sono. I fatti ci sono. La storia, insomma, c'è. 
Ma non è questo il punto. Quel che rapisce in questo libro è il costume di una nazione che proprio durante la Grande Guerra bene o male comincia a fare i conti con sé stessa, con le sue mille lingue e mille usanze: e scopriamo allora che per i profughi veneti riparati in Calabria o in Puglia il problema primario era la mancanza di farina di granturco, da cui fare la polenta, tanto per dirne una.
E la guerra acquista un'aspetto nuovo.
C'è la crudeltà e la merda, l'inettitudine e lo sbigottimento, il desiderio di vita, lo slancio ideologico, l'eroismo, c'è tutto quello che bene o male c'è sempre quando un libro parla di guerra. Ma siamo lontani da tutto quello a cui ci hanno abituato i film e la retorica. Ne siamo lontani perché siamo lontani da fronte: ci siamo, ma esattemente come se stessimo leggendo un giornale in una cittadina di provincia lontana dal fronte, eppure immersi in quello storico momento.
Può sembrare quasi un delitto, allontanarsi così: ma è soltanto un modo per vedere meglio una verità che non è né quella politica (quale verità sarà possibile in Italia, con l'imminenza del regime fastista, lo possiamo immaginare) né quella esclusivamente storica.
Tutto è già nel titolo: al fronte c'è l'Italia. Qualunque cosa possa voler dire, scoprirlo è il senso del libro.
Eppure è storia: per esserne sicuri l'istinto del giornalista che ha scritto questo libro lo ha portato, nel 2006, da un Giovanni, in Sardegna, classe 1899, che appena diciottenne quella guerra l'ha fatta veramente e ne può raccontare.
Oggi che scrivo non credo ne esistano più superstiti: il tempo ha dalla sua la migliore artigliera, sempre. E la vita si avvia passo dopo passo a diventare storia.
E la storia, e le storie, aspettano di essere narrate, per essere lette nell'oggi delle nostre personali e politiche e ulteriormente storiche contese.

1 commento:

  1. sono edoardo pittalis, ho letto la sua recensione alla Guerra di Giovanni e la ringrazio perchè l'ho trovata molto bella, tra quelle che ho apprezzato di più. Soprattutto perchè non è di quelle fatte da colleghi, talvolta per dovere, ma è sentita e sincera.
    Dal libro abbiamo tratto uno spettacolo, con lo stesso titolo, che abbiamo portato in giro non soltanto nel Nordest dove vivo e lavoro. Musiche, immagini, canzoni della grande guerra. Con Gualtiero Bertelli, cantautore e ricercatore musicale veneziano, e con la Compagnia delle Acque. Se le interessa le faccio avere qualcosa
    grazie e cordiali saluti
    edoardo pittalis

    edoardo_pittalis@yahoo.it

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...