giovedì 8 luglio 2010

Ballando nudi nel campo della mente, Kary Mullis



Ballando nudi nel campo della mente, Kary Mullis



Ho ripreso sotto mano questo libro, ora che il caldo della città mi lascia respirare.
Lo sfoglio. Ricordo di averlo letto la scorsa estate. Il libro è del 1998. Devo averlo comprato - scandalo! - al supermercato: l'edizione economica combinata al sovraconto della grande distribuzione lo facevano costare poco più di un fumetto.
Fine del preambolo.

Domanda della sera: possibile che sia pubblicato un libro del genere e non succede nulla, ancora una volta?

Personalmente mi sono precipitato a leggerlo in classe.
Motivo numero uno: un premio nobel ha avuto quattro mogli e ha saputo sfruttare i ricavati della sua scoperta per dedicarsi al surf. Già questo rende il tutto sfizioso. Per di più scrive in modo sfacciato, da anglosassone pubbista, e uno dei capisaldi della mia estetica è proprio il gusto del bar, con quel tono - vogliamo parlare di oralità? Andate a riprendervi un manuale di retorica per scoprire che uno dei tropi meno definibili è proprio l'ironia - apparentemente superficiale. La superficialità appare quando scopriamo che una delle scoperte più rivoluzionare degli ultimi anni - una pratica che ha permesso lo sviluppo dell'ingegneria genetica, se volete saperne di più potete andare a vedere qui - è venuta in mente per caso, guidando l'auto, andandosene per un fine settimana di riposo e relax, con qualche bottiglia di vino. Superficialità è parlare delle proprie esperienze con le droghe, o l'uso dell'irriverenza come modo di vita, incontri con alieni, esperimenti bizzarri.
A prima vista sembra un'opera comica: per noi italiani, abituati a barbosi barbuti (ah, la barba lunga due spanne di cui parlava Leopardi è rimasta in circolazione!) una figura del genere sembra semplicemente una presa in giro di come uno scienziato dovrebbe essere. Noi siamo abituati - ci allevano così, purtroppo -  a persone che sono consumate da un sacro fuoco, persone che sperperano la loro vita dietro la scoperta, la ricerca: e oggi forse diventa sempre più vero, considerando il trattamento che la politica riserva all'università e all'istruzione in genere. Eppure, anche spulciando qui e là, mi sembra di capire che nel mondo anglosassone le cose sono diverse: viene da dire che c'è più libertà. E' la libertà del mercato, che nel paese della mafia continua a mancare. E il mercato considera uno scienziato come un qualsiasi creativo: la regola di un creativo è che se una sua idea può fruttare milioni, allora non è poi tanto necessario tenerlo al guinzaglio come un impiegatuccio qualsiasi. Con una sola idea si ripaga di tutto, e può godere di una sua libertà: niente ipocrisie. Se per essere un premio nobel della chimica bisogna essere fuori di testa, è inutile stare a fare tanto i moralisti: quel che conta è la scoperta (e il guadagno che dietro ci si può nascondere, come direbbe Nobel, per chi se lo fosse dimenticato inventore della dinamite).
Bene, potrei concludere qui. Il libro insomma è opera di una specie di pubblicitario che, casualmente, è anche uno scienziato: il tutto sarebbe l'apologo di come le persone eccentriche spesso riescono ad essere geniali proprio per la loro eccentricità.
Solo che se fosse tutto qui, questo libro sarebbe davvero poco più di un fumetto. 
E la mia domanda non avrebbe senso.
Quello che io ho letto in questo libro (si, anche nella droga, nel tentativo di accendere una lampadina con la sola forza del pensiero, nell'incontro con un procione alieno!) è cosa dovrebbe essere la scienza.
Libertà, prima di tutto. Libertà di guardare ovunque, scavare ovunque, fare qualsiasi cosa (di limiti etici parleremo un'altra volta...).
Voglio riportare qui una pagina che mi è capitato di leggere in classe: 

"Quand'ero piccolo ogni novembre mia madre consegnava a me e ai miei fratelli una pila di cataloghi, per scegliere i regali di Natale. E fu in una di queste occasioni che mi imbattei in un Piccolo Chimico. Quelle provette piene di cose con nomi strani mi incuriosivano. Ero intenzionato a capire quali sostanze avrei potuto mescolare per provocare un'esplosione: scoprii che avrei potuto facilmente procurarmi i prodotti mancanti al negozio sotto casa. A Columbia, negli anni Cinquanta, i ragazzini erano autorizzati a giocare con robe strane. Potevamo andare dal ferramenta a comprare trenta metri di micca per la dinamite, e il commesso si sarebbe limitato a sorridere e commentare:
La prima cosa di una qualche importanza che riuscii a fabbricare con il Piccolo Chimico fu una sostanza simile alla termite. Avevo messo insieme polvere di alluminio, nitrato di ammonio, un pizzico di qualcos'altro e lo scaldai su un fornello a spirito. Quando tolsi il contenitore dal fuoco, la reazione proseguì. La miscela diventò incandescente, spaccò la provetta e partì: psssssshtttt..... FORTE! pensai, avendo solo sette anni. Non sapevo cosa fosse successo, ma decisi che la scienza era divertente."

Vorrei chiarire che il punto non è incoraggiare tutti a far saltare in aria le cose: eppure crescere significa prima di tutto sperimentare. Fare esperimenti e costruirci sopra una teoria, che poi diventa, giorno dopo giorno, la nostra vita. Forse, sia detto tra parentesi, ce ne siamo un po' troppo dimenticati, e così oggi i nostri ragazzi, che per istinto biologico non possono rinunciare agli esperimenti, rinunciano alla teoria.
Perché curiosità, libertà, un pizzico di follia, coraggio e anticonformismo, non sono nulla da soli: posso fare un buon pubblicitario, non uno scienziato.
Cosa occorre? Occorre il rigore scientifico di mettere in discussione ogni punto fermo che via via si acquisisce. 
E ricorro ancora una volta a una citazione, per concludere: 

"Quando ci entri dentro, la scienza, come tutte le altre cose che la gente fa per vivere, non è molto complicata. QUello che devi fare è risolvere un enigma. E con gli enigmi, quello che devi fare è rifletterci un po' su, considerare tutti i fatti che puoi scoprire e poi formulare un'ipotesi. Proporre una soluzione. Il passo successivo è fare quanto possibile per confutarla. Mostrare che i pezzi non si incastrano nel modo in cui avevi proposto: se ci riesci, proponi un'altra soluzione. E poi riprovi. La realtà è un puzzle ingannevole. Capita che alcuni pezzi si incastrino tra loro, anche se quello non è davvero il loro posto. Alcune soluzioni sembrano giuste per un po' di tempo, poi fanno fiasco. La soluzione che tiene conto di tutti i fatti rilevanti e non può essere confutata - tutti i pezzi vanno al loro posto senza forzarli, e quelli nuovi si adattano a quelli che già abbiamo - probabilmente è quella che stavi cercando."

P.S. Nessuno penso sia così ingenuo da non capire che forzare i pezzi non rende buoni scienziati ma permette di guadagnarsi uno stipendio con maggiore facilità.

Ma non ci permetterà mai la leggerezza necessaria per fare surf! Per stare sopra un'onda, serve la felice leggerezza delle bolle di sapone.

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...