domenica 13 giugno 2010

Equilibristi #11

12.



Camminiamo tutti su un filo:
la vita è il cammino, 
l’amore il filo.



- Professoressa Corsi! 
Gridano in molti quando le due ragazzine scompaiono dalla scena. 
O per meglio dire, lo gridano prima due ragazze sedute vicino alla finestra; poi il grido si allarga e diffonde. 
Escono tutti fuori. Mi avvolgono, le persone; le persone che ho visto entrare e uscire da un bar mi toccano, non si accorgono neppure che è una cosa speciale, visto che non si sono mai accorti di me. L'attenzione è rivolta verso l'alto, verso l’azzurro del cielo. Ma tutta questa gente, la cui attenzione è rapita ora come sempre, non sta guardando il cielo. Hanno gli occhi girati in su. Si stringono, uscendo in cortile. Hanno fretta ma anche paura, come animaletti veloci. 
E improvvisamente tutti stiamo guardando la stessa cosa, lassù, sospesa tra terra e cielo. 
La professoressa Corsi cammina su un filo.
La vecchia professoressa, che non riusciva più a salire le scale e arrivava in classe dall'ascensore, che si vedeva arrancare per strada, dalla stazione a scuola, ora è dritta in piedi su un cavo steso tra una finestra della scuola e il palazzo di fronte. 
"Dev'essere un cavo per gli striscioni della festa del patrono!" esclama qualcuno vicino a me. Le osservazioni si susseguono tra la gente apparentemente senza logica. Alla ricerca di una spiegazione, tutti sono ipnotizzati. 
Gli studenti non cominciano ancora a ridere: ma certo è strano vedere la vecchietta che scompariva dietro la cattedra muoversi lentamente su quel filo a metri da terra. E' strano anche per me, infatti, che so già tutto. E sorrido mentre lo scrivo, perché alla fine sono stupido come tutti gli altri. Le esperienze insegnano qualcosa, ma c'è sempre un resto che sfugge via. Il filo sembra immobile, ma oscilla, e oscilla la professoressa, come la lontana cima di un'alta quercia. 
Enrico e Federica si ritrovano vicini, con tutto questo trambusto. Leonardo è scivolato fino a Ludovica. Nonostante l'apprensione del momento si sente nel naso un'aria di felicità. 
La professoressa sta là su. 
Da quanto non guardavo il cielo? 
Tutti stanno col fiato sospeso, come dovesse precipitare da un momento all'altro; e con il fiato sospeso, tutto sembra credibile. 
La professoressa Corsi persa nell'azzurro del cielo, come un pupazzo poggiato su uno straccio. 
E mi piace tanto leggere nei suoi lenti movimenti un discorso segreto che sussurra: non so come sono finita fin qui, come non so il senso delle cose che mi sono successe nella mia lunga vita. Vista da qui, ora, mi sembra un romanzo: uno di quei bei romanzi scanditi dal suono degli orologi, ma pieni di avventure. Ho fatto molte cose, e molto spesso ho avuto la testa tra le nuvole: già quand'ero bambina mia mamma mi rimproverava perché ero sognante e lenta, perché doveva sempre tenermi per mano altrimenti camminavo senza guardare dove andavo, e mi perdevo, nei giorni di mercato, fermandomi a parlare con tutti. Per questo forse la vecchiaia mi ha preso così, alle gambe, per fermarmi. E invece eccomi qui, non è riuscita nel suo intento. Ho parlato per anni a giovani guerrieri disarmati, vedendoli cambiare ciclicamente; i giri della luna e i giri delle generazioni, e ho amato tutto, e cercato di capire cosa restasse uguale dietro i capelli ora lunghi ora corti, dietro l'ostentazione di un'eleganza a buon mercato o le braghe volutamente rotte. Ho guardato piercing, tatuaggi, creste, capelli violentati, finti moikani e nuovi pakistani. Ho visto il mondo bussare alla mia porta e ho aperto. Ho visto ciò che è diverso e ciò che è uguale. Ho ascoltato ragazzine piangenti e fuggenti, insicure e scure in viso. Ho rimproverato uomini che mi guardavano dall'alto in basso, e chinavano la testa. E' il segreto dell'amore: io sono sempre stata piccola, indifesa, eppure il mondo mai mi ha fatto male. Quando ci ha provato, io ho capito e amato anche quei dolori, che si rivelavano, infine, piccoli e delicati. Ho avuto paura di zoppicare, ma poi l'ho fatto. E non ho avuto paura quando il mio uomo è stato licenziato, e poi l'ho perduto. O l'ho trovato davvero? 
Si danza in equilibrio, sempre, tra avere e non avere, tra essere e non essere, tra le mille sfumature di colori. L'essenziale è invisibile agli occhi, ho sempre insegnato. Ed ora senza neppure accorgermene sono salita qui su, come andare alla lavagna: la stessa fatica, la stessa sensazione, lo stesso piacere. Piacere di mostrare, prima ancora di dire qualcosa. I mostri sono ovunque. Ma ora vedo l'azzurro del cielo come uno straccio ancora bagnato sopra di me. E i nasi all'insù che guardano me, come hanno fatto per anni: occhi sempre della stessa età mi hanno guardato invecchiare, e ora, come sempre, mi guardano danzare sul filo teso. 
Non abbiamo mai fatto altro, signori e signore, cari studenti miei: è tutta una questione di sfumature, e di imparare a guardare, e ora mi guardate ma non mi vedete, forse. Guardate dove finisce la città, dove inizia una foglia, dove la festa comincia a non finire, dove finisce di cominciare, dove il bruco è farfalla, dove il figlio è il padre, dove il padre figlio, dove l'uomo donna, dov'è l'amore, perché davvero non si vede bene che con il cuore, e come ciechi, come vecchie talpe cieche andiamo avanti così, tra un sole e una nevicata, tra le nuvole che arrivano e che vanno, un piede dopo l'altro, sull'asfalto e tra le lenzuola, dentro un cuore o su un cavo sospeso. 
E parlo a te, amore mio. Siamo arrivati ad un'età che pensa di avere risposte, ma abbiamo solo lasciato perdere molte domande. 
Sei stato licenziato. Io sono stata malata. Ci siamo persi, come in montagna per i sobbalzi del terreno a volte non ci si vede più, pur mantenendo la stessa distanza.
Ma io so che nella vita ho avuto un amore, e un amore non finisce mai, se è quell'amore che riempie la pancia e cucina la vita ad un lento fuoco. 
Gli amori dei marmocchi che stanno finalmente fermi, qui sotto, sono scintille nella notte; girano veloci, e sprizzano scintille. A volte esplodono nella notte, o passano correndo come lontani aeroplani, come stelle che cadono negli occhi spalancati a guardarle. Ma spesso si spengono in lacrime, lo sappiamo. E a volte si spezzano. Sono come fiammiferi difettosi, difficili da usare. Ma quando il legno, la fibra del legno si accende, allora la scintilla diventa qualcosa di diverso: si fa luce, dapprima, che rischiara le cose intorno, e con un amore così ti senti in grado di capire e scegliere e decidere, sei forte e guardi la vita scorrere su di te, con felicità; e poi dalla luce, quando chiudi gli occhi, finalmente stanco di vedere, senti provenire una cosa nuova, diversa, senti che da quella luce viene non solo conoscenza ma calore, e su quel calore senti scaldarsi la vita, e nel calore senti profumi nuovi, e senti che tutta una nuova storia comincia, una storia lenta, d'anima cremosa e tiepida, di pazienza ed attenzione, di responsabilità e lotta e gioco e sesso. 
Adesso da qui vedo tutto; vi vedo piccoli, da qui, ma più chiaramente che mai. 
E ti capisco, amore mio; e capisco che il peccato non esiste, e non esistono tesori.
Mi ricordo di quando spiegavi ai bambini perché le piante grasse hanno le spine. 
Mi ricordo la tua muta tristezza. Mai ti ho lasciato, anche se tutto è cambiato. 
Capisco che arriva un momento in cui tutti ci guardiamo le mani sporche, e non ricordiamo quando e dove è successo. E che alcune macchie non si possono lavar via, senza alterare il tessuto. Capisco che ogni osservatore è prima di tutto osservato. Capisco che ti ho amato, e ti amo. E ti amerò, perché c'è un filo che da sempre ci ha uniti, legati insieme, ed è questo su cui ora cammino calma, sul vuoto che mi separa dai nasi girati in su, sul vuoto attorno che c'è stato sempre, e su questo filo, lontani o vicini, mai ho smesso di mettere un piede dopo l'altro, fermandomi, ondeggiando al vento, sentendo il fiato sospeso di chi aveva voglia di guardare. 
Pensate che stia per cadere, voi là sotto. 
Perché è quello che succede sempre. Si cade, si cade da bambini, con le ginocchia sbucciate, si cade da adulti, quando il tempo comincia a stringere i cordoni della borsa, e si cade fino a cadere per sempre. Eppure si sta in piedi, si ride e ci si innamora. Tra le molte forze contrastanti, come una barchetta avvolta dalla tempesta, esiste comunque una rotta senza traguardi e senza premi: quello è l'equilibrio. 
Amare ogni istante che passa correndo. 
E ridere, quando possibile.
E fare l'amore come siamo stati capaci di farlo noi. 
E mentre io leggo queste parole nello sforzo dei piedi sul cavo, piedi nudi e leggeri, piedi anziani e duri, so di essere anch'io su quel filo. E come una goccia di pioggia guarda alla terra, così a volte penso al futuro. E al passato, questo leggero passato che bussa e mi indispettisce. Ti amo; e sento che vorrei prenderti in braccio e volare sopra i comignoli ormai spenti, in questo straccio intinto nell'azzurro del cielo. E mi guardo indietro, e mi volto in avanti: ma la sola cosa che posso fare è cadere. Hai ragione. E sono caduto, e però a me il sorriso non si può togliere, visto che io ho incontrato te, mia dilettissima complice. E ho imparato a guardare le cose e le persone; e le foglie in terra mi parlano della tua pelle sotto una coperta, e il fuoco, l'unico vero fuoco, siamo noi, parte di quel fuoco su cui bruciavano le streghe, siamo la rivincita delle streghe e dei maghi, di chi nonostante tutto, col tempo che è passato sulle nostre teste, non la smette di amare come ragazzini e di essere così stranamente, contemporaneamente, domestico e selvatico. 
Molti non capiranno cosa brilla dietro gli occhi, nei miei e nei tuoi. Molti non l'hanno capito. Ma quando gli occhi incontrano gli occhi le faville parlano di un cuore perso in incendi d'amore.
Che vengano, sogni passati e incubi futuri, che vengano le storie perdute e gli amori smarriti, le passioni, le scopate, che vengano le notti abbracciati al cesso, che vengano le ore vuote, gli occhi sbarrati, che vengano le poesie lette sull'autobus, che venga tutto, i denti che cadono, le ginocchia che tremano, che venga la noia, che venga l'abitudine, che venga la rabbia, che vengano le porte sbattute, che vengano le parole pesanti e i silenzi, gli sguardi obliqui che preoccupano i bambini, che vengano le cose più facili, che vengano le stelle più romantiche, che vengano i lavori persi, i "si accomodi fuori", le file alla cassa, gli spiccioli in tasca, e io sarò con te, e tu sarai con me. 
Perché come le gocce che non smettono di cadere, non possiamo fermarci. Questo non è un disegno. 
E dopo aver imparato gli articoli della costituzione, dopo aver cercato le emozioni negli angoli bui tornando a mani vuote, e aver parlato delle mezze stagioni e dei frutti maturi, e aver recitato due volte "La pioggia nel pineto", e dopo aver compilato la dichiarazione dei redditi negli anni in cui redditi c'erano, e dopo aver fatto i bilanci e soppesato le cose, e dopo tutto questo, io abbraccio te come si abbracciano gli alberi, si annusa l'erba, si impara stranamente a godere di una goccia che ti cade sulla punta del naso, e io, infinitamente, con l'infinito racchiuso nella densità di ogni istante, io ti amo. 
Noi ci amiamo. 
E quando accadono le magie, i bambini restano col naso in su a guardare, stupiti. 
Proprio come quando ogni notte la luna decolla, in un’unica notte senza fine.

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...