lunedì 9 agosto 2010

Hans Christian Andersen, Lo specchio fantastico


Di ritorno dalle esigue ferie segnalo questo libro: devo però immediatamente avvertire che è un fuoricatalogo, pur essendo edito nel 2003. 
La cosa che più mi ha colpito sono gli acquarelli della Archipova, che colgono ed esaltano le fiabe di Andersen qui raccolte.
Cosa c'è da dire su questo libro?
A me sembra che sia sempre doveroso consigliare la lettura delle fiabe di Andersen, ma meglio anche di qualunque fiaba, a chiunque ci capiti a tiro. Questo per una serie di ragioni.
Comincio accampando una frettolosa diagnosi storica: lo smarrimento dalla capacità di narrare fiabe mi sembra essere l'allegoria perfetta di una crisi storica patita tra XVIII e XIX secolo, momento storico in cui, al di là delle vicende storiche, per la prima volta l'uomo perde il contatto con gli elementi più "naturali" del suo essere, bollati una volta per tutte come superstizioni. Penso setmpre più spesso che gli illuministi abbiano buttato il bambino con l'acqua sporca, anche se non bisogna dimenticare tutte le attenuanti storiche del caso. Comunque rimando rapidamente al saggio di Benjamin su Leskov per chiarire l'opposizione tra "racconto" come si è venuto a definire nell'800 e "narrazione".
E proseguo godendomi il rosso tramonto di Roma.
Leggere le fiabe rappacifica con le strutture elementari della narrazione: questo è sempre più utile visto che viviamo un'epoca in cui la sobrietà "classica" ed una spontanea semplicità sono spesso scalzate via dalla ricerca di strutture elaborate e colpi ad effetto. Con buona pace di formalisti russi e strutturalisti francesi, le fiabe ci ricordano che non serve strafare per dire qualcosa, a patto di avere qualcosa da dire, e questo qualcosa da dire non appartiene affatto all'autore ma al "naturale" decorso della fiaba stessa: decorso che è soprattutto implicitamente psicologico. In questo senso la fiaba ha ancora il potere di avvicinare ad una "religiosità" perduta, ad un folklore, ad un romantico spirito del popolo, ad una cultura non idealizzata né assolutizzata: parlo di religiosità in un senso che dovrebbe essere metto dialettica opposizione con l'affermarsi delle "religioni dello spettacolo" monoteiste.
Leggere una fiaba ci riconcilia dapprima con il gusto di leggere una storia, che è un gusto paragonabile a quello che si prova nel mangiare un frutto senza neppure lavarlo: ma poi una fiaba ci offre la possibilità di affrontare con simbolica delicatezza alcune questioni fondamentali ed eternamente operanti almeno quanto eternamente rimosse: egoismo vitale, bisogno d'amore, capricci di felicità.

Non volevo certo imbastire un trattato sul fiabesco: certo consiglio a chiunque si interessi di lettura o scrittura, per non parlare di insegnamento, di cercare qualcosa sul genere, visto che è stato già affrontato sotto molteplici aspetti, dallo psicanalitico al formalista.
Quello che in realtà mi ha spinto a recensire proprio questo libro è il fatto che ci siamo incontrati su una bancarella di un mercato ben poco libresco: ho così potuto comprare per 2 euro questo piccolo gioiellino, che se ne stava incastrato tra un infradito e le mozzarelle di bufala.

A volte l'occasione rende l'uomo ladro: altre volte l'occasione offre gustose ed economiche letture.

1 commento:

  1. ma che bel blog che ho beccato!
    ti scrivo da questa recensione perchè mi piacciono le favole e mi piacciono i libri. Soprattutto quelli che ti saltano in mano per caso, meglio se vecchi e un po' puzzosi; impregnati di odori e di mani.
    ho tante fiabe a casa perchè mi fanno volare: io no volo più da tanto tempo. Ero piccola e sapevo disegnare di fantasia, ora, a mala pena, so copiare. Ero piccola e mi perdevo spesso nella mia fantasia, ora non ho tempo.
    Ero piccola e mi lasciavo andare, ora non più.
    Ho bisogno di schemi, diagrammi di flusso, frasi logiche...; forse troppa idiozia mi ha scofitto ed ho reagito male.
    Solo tra la mia gente, quella stretta stretta, ancora sono bambina.
    leggo Asimov e mi trovo su Trantor, vestita con una tonaca grigia, a dibattere sull'ipotesi della fine dell'Impero....ma poi di asimov so propagandare solo la scientificità suoi romanzi. Non so più parlare di fantasia, ho paura di farlo se non sono tra la "mia gente".
    Del resto non ne parlo quasi mai, non mi alzo mai da terra; sembro, e forse lo sono diventata, schematica, e anche un po' nevrotica, vero?

    violetta menichini

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"e dico che una poesia si corregge con un'altra poesia, un corollario con un codicillo):" (E.Sanguineti)

E allora, cosa aspettate? Le parole chiamano parole...